venerdì 7 novembre 2008

Le Braccia e le Mani di Dio - Come antropomorfismi, metafore e immagini ci invitano ulteriormente alla comunione con il Dio Trino

Lettura
Gal. 4:4-6, Deut. 33:27, Ebr. 2:10-14

La poesia non è il linguaggio della spiegazione oggettiva ma il linguaggio dell’immaginazione. Essa fornisce un’immagine della realtà in modo tale da invitarci a partecipare in essa. Non abbiamo più informazioni dopo aver letto una poesia; abbiamo più esperienza. Non è un “esame di quello che accade ma un’immersione in ciò che accade” (E. Peterson – Reversed Thunder)

Braccia.
Braccia muscolose e allenate, braccia esili e intellettuali, braccia glabre e braccia pelose, braccia su cui la camicia è arrotolata e braccia su cui la camicia è ben abbottonata, braccia abbronzate e braccia bianche come il latte, braccia di adulto e braccia di bambino, braccia ferite e braccia dalla pelle liscia, braccia sudate e braccia profumate, braccia su cui il duro lavoro lascia segni e braccia su cui l’unico segno è l’impronta della scrivania, braccia di adulto, protettive, braccia di bambino, in cerca di protezione, braccia che stringiamo intorno a chi amiamo, braccia che ci stringono per dire che siamo amati,braccia capaci di alzare pesi e braccia capaci di cullare, braccia di uomo e braccia di donna, braccia umane e braccia di Dio.

Braccia di Dio.

Eterne, forti e potenti eppure anche tenere e delicate, “spirituali” e “materiali”, talvolta come nascoste e talvolta come tangibili, eppure braccia sempre presenti perché ciò che l’occhio non vede il cuore sa; braccia che reggono gli universi e i mondi e braccia che accolgono un figlio prodigo al suo ritorno; braccia che erano presenti prima ancora che il mondo fosse in un tempo chiamato eternità, braccia che si stendono verso un tempo futuro chiamato eternità, braccia del Dio degli eserciti e braccia del Dio Pastore, dunque braccia di Dio con tutte le sfumature e i colori che questa immagine ha.
Mosè conosceva quelle braccia. Le aveva viste operare nella sua vita e nella vita del popolo di Israele. Braccia che non si conoscono come in un manuale di anatomia, studiandole e definendo i muscoli e i nervi: così sono braccia asettiche, intellettualizzate, ma ferme come quelle di un manichino; piuttosto braccia che si conoscono per esperienza e contatto con esse, braccia che si vogliono definire per noi e rivelarsi, braccia che seguono l’impulso di un sentimento eterno di comunione, dimora, braccia mosse dal cuore di Dio.
Ecco perché nel suo canto del cigno il profeta con cui Dio trattava faccia a faccia come con un amico intimo, in un impeto immaginifico e ispirato, guarda con gli occhi lucidi al popolo e scorge qualcosa che soltanto gli occhi di un profeta possono vedere. Dietro ai volti delle persone, a quella folla di uomini, donne e bambini, c’era molto di più di Israele stesso, molto più di vesti sgargianti, di tende, di cibo, di scudi, di barbe e copricapo, di monili e profumi. Dietro a tutto questo c’era Dio stesso:

Il Dio eterno è il tuo rifugio
E sotto di te stanno le braccia etern
e”
(Deuteronomio 33:27)

Mani.

Mani bianche e mani scure, mani gialle e mani nere, ma la cui vita proviene da uno stesso sangue rosso, mani callose e mani curate, mani piagate e mani morbide, mani forti e mani esili, mani che disegnano e mani che costruiscono, mani che schiaffeggiano e mani che accarezzano, mani grandi e mani piccole, mani che si stringono e mani che si separano, mani che benedicono e mani che insultano, mani che sferruzzano e mani che scrivono, mani che eseguono movimenti coordinati su tasti ora bianchi ora neri e mani che hanno scolpito quegli stessi tasti, mani nude e mani ornate da anelli, mano destra e mano sinistra, mani che si alzano e mani che stanno ferme, mani di uomini e mani di Dio.

Mani di Dio.

Eterne, le cui dita hanno disposto negli spazi siderei le stelle e gli astri e le cui dita hanno toccato cuori di pietra, mani pure eppure che non hanno paura di sporcarsi toccando lebbrosi, malati, peccatori, uomini e donne, me e te, mani senza guanti, mani che sostengono, mani che agiscono, mani che proteggono, mani che stringono a sé, mani che custodiscono, mani che donano, mani che hanno aperto una via per cui camminare e mani che indicano il sentiero da percorrere, mani che hanno scritto la storia e mani che creano una nuova storia nella vita di ogni essere umano, mani fedeli e piene di promesse, mani sui cui palmi sono scolpiti i ritratti di persone come perenne ricordo d’amore, mani sui cui palmi, fra visi e volti, c’è il segno di chiodi, mani che reggono l’universo eppure mani ferite, mani di Dio con tutto quello che quest’ulteriore immagine comunica in tutta la sua grandeur.
Mosè conosceva quelle mani. Quando sul monte Dio fece passare davanti a Mosè tutta la Sua bontà proclamando la Sua gloria (Esodo 33:19), la mano di Dio coprì il decano dei profeti; messo in una buca di un masso, Mosè sentì su di sé la mano di Dio.
Quelle stesse mani che avevano operato prodigi; quelle stesse mani che con un dito scrissero su tavole di pietra e quelle stesse mani che scrivono oggi su tavole di carne chiamate cuori. Mani sempre tese verso l’uomo, mani che si sono fatte toccare dalle nostre mani (cfr. 1 Giov. 1:1-4), mani che, come Giovanni ci dice nella visione grandiosa che contemplò, asciugheranno le nostre lacrime; mani che come spezzarono del pane sulla via per Emmaus per due discepoli lo spezzeranno ancora per molti altri quando saremo a tavola con Lui.

Antropomorfismi.

Questo il nome tecnico che gli studiosi danno a immagini come queste: Dio con braccia, con piedi, con mani, con viscere e cuore. Spesso trascurate o prese soltanto come metafore esse sono invece l’anticamera al più grande “antropomorfismo” a cui si assiste nella rivelazione biblica: l’incarnazione. Non metafora, ma Cristo perfetto Dio e perfetto uomo.
Questo modo che Dio ha di parlare alle Sue creature ha origine nel Suo desiderio di comunicare e rivelarsi non in maniera distaccata e asettica, come se i Suoi attributi potessero essere oggetto di critica e analisi metodologica, ma soprattutto in maniera personale e intima. Non solo. Questo modo di parlare ha origine in quel desiderio tipico del “Circolo Trinitario” di chiamare all’interno della “comunità del Dio Trino” l’uomo. Dio ci vuole includere in quel dialogo e in quella relazione che sussiste da ogni tempo tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Le Sue braccia e le Sue mani sono protese verso di noi annunciando questo invito.
E siccome la teologia è lo studio di Dio, del Suo carattere e delle Sue vie, non sorprende che nel corso del tempo qualcuno cogliesse con grande efficacia queste immagini di braccia e mani, non solo facendolo proprie nel cuore ma anche facendocele riscoprire con voce al contempo biblica, profetica e poetica. La teologia diventa così una ricerca all’interno della rivelazione (“cerchiamo come chi sta per trovare, troviamo come chi sta per cercare” diceva Agostino), riscoprendola di volta in volta nella sua purezza originale, purezza che spesso rischiamo di perdere perché presi piuttosto dalle nostre agende, dalle nostre preoccupazioni, dai nostri piani. Questa volta la voce che si alza è quella di un apologeta, cioè di un teologo che dedicò la sua vita alla difesa della fede Cristiana. Ireneo di Lione usa una metafora straordinaria che preserva la ricchezza della metafora biblica stessa. Dio è intervenuto nella storia umana attraverso due mani, cioè attraverso la Parola e lo Spirito, attraverso Cristo (la Parola incarnata) e lo Spirito.
Il Nuovo Testamento concordemente ci spiega in modo estensivo questa metafora che affonda le sue radici nell’Antico Testamento e che Ireneo colse nuovamente qualche anno più tardi nella sua difesa della fede dagli attacchi di Marcione e dello gnosticismo.
Al fine di condurre molti figli alla gloria, l’autore anonimo dell'epistola agli Ebrei, ci dice che “poiché i figli hanno in comune sangue e carne, Egli [Cristo cioè] pure vi ha similmente partecipato”(Ebrei 2:10, 14). Paolo stesso fa eco a questa melodia dicendo che “quando giunse la pienezza del tempo Dio mandò Suo figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinchè noi ricevessimo l’adozione” (Galati 4:4-5).

La “prima mano”: Cristo incarnato. Egli che prende su di sé la natura umana e compie l’opera di redenzione per l’uomo.

Paolo stesso ci ricorda poi che “avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo Abbà, Padre” (Romani 8:15). Affermazione di cui troviamo ulteriore conferma nuovamente in Galati dove l’apostolo scrive che “perché siete figli Dio ha mandato lo Spirito del Figlio Suo nei nostri cuori, che grida Abbà, Padre” (Galati 4:6).

La “seconda mano”: lo Spirito Santo nei nostri cuori, Colui che produce in noi la vita di Cristo e agisce in noi per trasformarci, sigillandoci come proprietà speciale di Dio.

“In Cristo, la Parola fatta carne, e nello Spirito, siamo condotti al Padre attraverso l’intercessione di Cristo e l’intercessione dello Spirito. Siamo sollevati dalle “braccia eterne”” (James B. Torrance, Community, Worship and the Triune God of Grace, IVP) .

Le immagini di mani e braccia di Dio hanno così la loro massima espressione non primariamente sul piano metaforico (per quanto grandiose e profonde siano queste immagini), ma su un piano reale e tangibile. Le braccia di Dio e le Sue mani non sono solo antropomorfismi da gettare in pasto ai critici letterari e agli esegeti, ma sono il modo che Dio ha di attirarci a sé e di arrivare a noi.
Guardando la vita ci è offerta la possibilità di andare con lo sguardo oltre all’immediato e scorgere dietro a vestiti, sguardi, volti, barbe, capelli lunghi, libri e tomi, programmi di studio, progetti, numeri di telefono ed elenchi, la stessa cosa che Mosè vide, che Paolo esponeva con tanto pathos, che il misterioso autore della lettera agli Ebrei scrisse ad amici in difficoltà e che Ireneo, decine d’anni espose nuovamente nella sua poetica apologia: dietro a noi stanno le braccia e le mani di Dio.

Eterne.

Forti.

Piene di grazia.

Cristo e lo Spirito.

Dio con noi. Dio per noi. Dio in noi.

Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo.

Vivere sempre tra le Sue braccia, seduti nell’incavo delle Sue mani, vicino al Suo cuore, sotto il Suo sguardo, all’ombra del Suo sorriso.

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