martedì 15 gennaio 2008

La statura torreggiante di Bach - la gioia nell'ascolto della passione secondo San Matteo

"Statura torregiante": mi piace questa definizione che il grande Barenboim dà della musica di Bach e del compositore stesso (citazione presa in prestito da "La musica sveglia il tempo", prezioso libro del direttore di orchestra di origini argentino-ebraiche).
Johann Sebastian Bach è da sempre il "mio" compositore. Non solo perchè la sua musica è semplicemente geniale, e qui potrei continuare con aggettivi su aggetivi tale è il mio amore viscerale, ma anche perchè pulsa di uno spirito profondamente legato alle grandi verità che la Riforma protestante, Lutero in primis, mise nuovamente in luce, dopo periodi di chiaroscuro non sempre esaltanti. Nella musica di Bach il Vangelo di Gesù Cristo stesso scorre tra le note che si inseguono l'una dopo l'altra sul pentagramma.
Come ha eccellentemente sottolineato Gianni Long, in un libro edito da Claudiana nel lontano 1985 (almeno questo la data che riporta l'ultima pagina del volume), nell'opera di Bach emergono tre tematiche principali connesse strettamente alla teologia di Lutero e a tre nuclei Biblici fondamentali (lo stesso dottor Martino darebbe più importanza alla parola della Scrittura; del resto il Sola Scriptura per lui non era soltanto un pio desiderio, ma un modus operandi intelligente, personale, sentito che rese unici i suoi sermoni e i suoi scritti); esse sono la dottrina della Trinità, la theologia crucis e il principio del Sola Gratia.
Non voglio qui dilungarmi in tanti particolari, musicali e teologici, anche se credo sarebbe cosa tremendamente interessante. Voglio solo condividere la gioia che provo nell'ascoltare un'opera unica come la passione secondo San Matteo (che sintetizza tutto questo in maniera eloquente e "mistica") di cui bastano le quattro battute iniziali,(che meraviglia il pedale di tonica martellante sopra il quale le voci degli archi e dei fiati si inseguono), di cui basta ascoltare il breve segmento in cui i soprani in ripieno cantano "O Lamm Gottes unschuldig", di cui basta in definitiva davvero poco per innamorarsi (e come esprimere ciò che veicola al cuore e allo spirito quell'aria dove il tenore intona "Ich will bei meinem Jesu wachen" preceduto da un tema dell'oboe a dir poco sensazionale?)

Inoltre le parole che il coro e i solisti intonano sono meravigliose; e qui spunta il più che felice connubio tra Bach e il suo "librettista", il mitico Picander (al secolo Christian Friedrich Henrici). Sempre per condivedere questa gioia musical-teologica, ecco un assaggio del testo cantato:

Venite, figlie, unitevi al mio lamento!
Guardate! - Chi? - Lo sposo.
Guardatelo! - Come? - E' come un agnello!
O Agnello di Dio immacolato,
ucciso sulla croce
,
Vedi! - Che cosa? - La sua virtù.
Sempre paziente,
sebbene deriso da tutti
.
Guardate! - Dove? - Alle nostre colpe.
Hai preso su di te le nostre colpe,
salvandoci dalla perdizione
.
Vedete come, nella sua misericordia,
Porta il legno della Croce!
Gesù abbi pietà di noi!

So che con queste mie parole non riesco a rendere giustizia alla profondità di questa musica (soprattutto se è musica intensa come quella proveniente dalla penna di Bach) perchè come dice il già citato Barenboim "essa è nel mondo, ma è anche fuori dal mondo"; d'altro canto non avevo nessun altro scopo se non aprire una parte del "flusso di coscienza in diretta da San Giuliano Mare" per condividere con altri una gioia forse piccola, ma significativa e preziosa.
E per non tradire lo spirito con cui queste note furono scritte, la miglior conclusione, sia come preghiera sia come ringraziamento sia come danza di felicità, consiste nel terminare tale "riflessione" con le parole con cui lo stesso Johann Sebastian concludeva le sue opere.

Soli Deo Gloria

martedì 8 gennaio 2008

CNN Breaking News - E' nato Davide (per chi non lo sapesse mio nipote)

Ci giunge ora un aggiornamento dalla città di Crema.

Tra le nebbie della pianura padana, un fascio di luce ha squarciato gli offuscati banchi d'aria; e poco dopo, con un acuto vagito, si è fatto largo un piccolo bimbo di nome Davide, richiamando l'attenzione di tutti:

"ehi ragazzi sono nato! un po' d'attenzione please".

Eh si! caro il mio "Davidino", l'attenzione non ti mancherà, stanne pur certo.

Sei la gioia,la corona, la vita dei tuoi genitori(mamma Sharon e papà Fabio),

la meraviglia dei tuoi nonni (nonna Loredana e nonno Maurizio),

l'esultanza dei tuoi bisnonni (bis-nonna Pina e bis-nonno Felice),

e sei il cuore di tuo zio Jonathan.

E come disse Wittgenstein, in altro contesto, "bisogna tacere" per non fare della retorica o per non rovinare una felicità mistica come questa che, se non fosse in parte comunicabile e manifestata attraverso l'esperienza che accomuna ogni uomo e donna, attraverso il linguaggio corporeo (danzare, saltare, dire sillabe senza senza, fischiare, abbracciare tutte le persone, ecc..) e attraverso qualsiasi altro mezzo non verbale di comunicazione, rasenterebbe l'inesprimibile.

venerdì 4 gennaio 2008

Torino - custa sì l'e' la mia sità



Torino.

Ci nacqui venticinque anni orsono e dopo qualche mese mi trasferì in questa ridente città di mare dove ora vivo, Rimini.

La "mia" città è però Torino; con lei ho un legame unico, segreto, fortissimo, sempre intatto.

Provengo da una famiglia piemontese e io stesso provo un certo orgoglio nel dirmi piemontese, e piemontese a tutti gli effetti; del resto "piemontesi si nasce e si rimane".

Non parlo il dialetto romagnolo e faccio fatica a capirlo.

Il "mio" dialetto è il piemontese, che ho sentito risuonare tra le pareti di casa fin dalla mia infanzia. La bis-nonna, o come la chiamavano io e mia sorella la "nonna-bis", parlava in piemontese con tutti, anche con i nipoti. I nonni chiaccherano ancora adesso amabilmente in piemontese, anche quando dalle chiacchere si passa alle discussioni e ai litigi. Mamma conserva ancora la cadenza, Papà la sua capacità di improvvisare conversazioni in dialetto e, oltre a questo, il vecchio cuore granata (a proposito .. Forza Toro!).

Io, beh io, l'ho già detto, ho un legame particolare con questa città. Amo i suoi lunghi viali, le sue piazze immense, le sue colline che la abbracciano, le montagne che guardano benigne da lontano, la Mole che brilla nella notte, il mite Eridano (così gli antichi chiamavano il Po), lo spirito risorgimentale, il fervore intellettuale, i palazzi, i rumori dei meccanismi delle fabbriche, il Valentino, la Crùseta, Superga, piazza San Carlo, i cannoli allo zabaione con le noci piemontesi tritate, il "bicerin" che Cavour amava sorseggiare, l'allegria di Gianduja, i parenti e gli amici.. già i nostri amati, con cui non solo abbiamo condiviso tempo insieme, all'ombra della meravigliosa città, ma con cui abbiamo condiviso le nostre emozioni e i nostri cuori (ricordo ancora le passeggiate per il centro, le serate passate nel mitico condominio di via Guala - le risate, i giochi, le chiacchere - il rito della "pizza" insieme al piccolo grande zio, ci sono le parole in piemontese con gli amici dei nonni, i ricordi dell'infanzia dei miei genitori, la vita dei nonni, della bisnonna, ecc..), e potrei continuare a dismisura, perchè nel "gomitolo" della memoria si susseguono immagini e ricordi seguendo un ordine emotivo e non razionale, una specie di malinconia perchè, come osserva il giovane Holden Caufield in una pagina del romanzo "The Catcher in the Rye", vorremo che le cose belle rimanessero, in un certo qual modo, sempre presenti.

Alla luce di quanto detto lascio la parola a chi con parole migliori ha saputo esprimere tutto ciò che ho cercato di dire tramite la semplice prosa. Sarà compito del buon vecchio Guido Gozzano (evviva la poesia crepuscolare!) parlare adeguatamente della "sua" città, la "mia" città. Guardè da stè bin

Torino

I.
Quante volte tra i fiori, in terre gaie,

sul mare, tra il cordame dei velieri,

sognavo le tue nevi, i tigli neri,

le dritte vie corrusche di rotaie,

l'arguta grazia delle tue crestaie,

o città favorevole ai piaceri!


E quante volte già, nelle mie notti

d'esilio, resupino a cielo aperto,

sognavo sere torinesi, certo

ambiente caro a me, certi salotti

beoti assai, pettegoli, bigotti

come ai tempi del buon Re Carlo Alberto...


"...se 'l Cônt ai ciapa ai rangia për le rime..."

"Ch'a staga ciutô..." - "'L caso a l'è stupendô!..."

"E la Duse ci piace?" - "Oh! mi m'antendôpà vaire... I negô pà, sarà sublime,

ma mi a teatrô i vad për divertime..."

"Ch'a staga ciutô!... A jntra 'l Reverendô!..."


S'avanza un barnabita, lentamente...

stringe la mano alla Contessa amica

siede con gesto di chi benedica...

Ed il poeta, tacito ed assente,

si gode quell'accolita di gente

ch'à la tristezza d'una stampa antica...


Non soffre. Ama quel mondo senza raggio

di bellezza, ove cosa di trastullo

è l'Arte. Ama quei modi e quel linguaggio

e quell'ambiente sconsolato e brullo.

Non soffre. Pensa Giacomo fanciullo

e la "siepe" e il "natìo borgo selvaggio".


II.


Come una stampa antica bavarese

vedo al tramonto il cielo subalpino...

Da Palazzo Madama al Valentino

ardono l'Alpi tra le nubi accese...

È questa l'ora antica torinese,

è questa l'ora vera di Torino...


L'ora ch'io dissi del Risorgimento,

l'ora in cui penso a Massimo d'Azeglio

adolescente, a I miei ricordi, e sento

d'essere nato troppo tardi...Meglio

vivere al tempo sacro del risveglio,

che al tempo nostro mite e sonnolento!


III.


Un po' vecchiotta, provinciale, fresca

tuttavia d'un tal garbo parigino,

in te ritrovo me stesso bambino,

ritrovo la mia grazia fanciullesca

e mi sei cara come la fantesca

che m'ha veduto nascere, o Torino!


Tu m'hai veduto nascere, indulgesti

ai sogni del fanciullo trasognato:

tutto me stesso, tutto il mio passato,

i miei ricordi più teneri e mesti

dormono in te, sepolti come vesti

sepolte in un armadio canforato.


L'infanzia remotissima... la scuola...

la pubertà... la giovinezza accesa...

i pochi amori pallidi... l'attesa

delusa... il tedio che non ha parola...

la Morte e la mia Musa con sé sola,

sdegnosa, taciturna ed incompresa.


IV.


Ch'io perseguendo mie chimere vane

pur t'abbandoni e cerchi altro soggiorno,

ch'io pellegrini verso il Mezzogiorno

a belle terre tiepide e lontane,

la metà di me stesso in te rimane

e mi ritrovo ad ogni mio ritorno.


A te ritorno quando si rabbuia

il cuor deluso da mondani fasti.

Tu mi consoli, tu che mi foggiasti

quest'anima borghese e chiara e buia

dove ride e singhiozza il tuo Gianduia

che teme gli orizzonti troppo vasti...


Evviva i bôgianen... Sì, dici bene,

o mio savio Gianduia ridarello!

Buona è la vita senza foga, bello

godere di cose piccole e serene...

A l'è questiôn d' nen piessla... Dici bene

o mio savio Gianduia ridarello!...

mercoledì 2 gennaio 2008

Saggezza antica per l'anno nuovo ovvero "Come non essere assorbiti dalla "folla" e mantenere la propria identità"

Tra le tante cose che sono state rinvenute presso il sito archeologico di Sageste, è stata trovata anche una tavoletta di bronzo datata quinto secolo a.C.; su di essa, in greco, si legge un' antica poesia scritta dalla penna di un anonimo (per noi) autore.

La pubblico così come l'ho letta nella traduzione del professor Diego Ceccarelli dell'Università di Palermo; la pubblico appunto nell'augurio che l'anno nuovo appena iniziato possa essere vissuto all'insegna dell'identità e della dignità che Dio ha donato a ogni essere umano: nessun conformarsi alla massa, nessun piegarsi alle richieste delle folle, nessuna svendita della verità per la gloria di una sola ora, ma la grazia di manifestare amore e verità nei pensieri, nelle parole, nelle azioni.

Dio ci benedica.



"Chi segue la folla non andrà più lontano della folla.

Chi cammina da solo

può scoprire luoghi in cui

nessun altro è stato prima.

Non si può vivere creativamente

senza incontrare difficoltà,

perchè l'originalità provoca il disprezzo,

e la conseguenza spiacevole del trovarsi

più avanti rispetto al proprio tempo,

è che quando gli altri capiranno

che avevate ragione, diranno che ciò

è sempre stato evidente.

Ci sono due possibili scelte di vita:

potete sparire nella corrente

oppure potete distinguervene.

Per farlo dovete essere differenti.

Per esserlo dovete diventare come nessun

altro, tranne voi, riesce ad essere."