venerdì 10 aprile 2009

Di te, che non sei sabbia d'aprile

Di te, sabbia di aprile,
amo gli attrezzi rumorosi,
i segni di cingoli,
le impronte profonde,
lo sferragliare di chi
rassetta le tue creste e
i tuoi ciottoli levigati
che il mare porta
nel letargo delle altre stagioni.

Di te amo ancora di più
il ritorno
a ciò che è tua essenza:
nuvole di polvere,
risacche,
dune di mille forme lunari.

Chi passa
per questa città
vede soltanto
piastrelle bicolori ordinate in sentieri
e file d'ombrelloni
sotto ai quali,
coppie di sedie a sdraio
formano per istanti,
legami fittizi,
necessità d'ordine
e
non ragione di follia.

Io che vivo tra i tuoi respiri,
conosco il tuo aspetto selvaggio
e quando cammino fra le nebbie
seguendo il richiamo sordo di un faro nascosto,
entro in una stanza segreta dove siamo soli
io e te.

Di te, che non sei sabbia d'aprile,
ma sabbia di clessidra
che segna i miei istanti,
di te,
amo
l'ordine che le persone scorgono
fra le tue movenze,
come a voler richiamare
geometrie anapodittiche -
non sterili formulazioni
ma graziose corrispondenze
di forme e anima -.

Di te, che sei misura della mia anima,
amo ancor di più
il lato che nessuno mai vide
e che ti attraversa come
corsi d'acqua sotterranei,
oscuri e misteriosi,
ignoti all'occhio di chi non possiede quella
luce
che tu doni a chi vuoi:
fiamma che scalda non il curioso passante
che scorge in te bellezza,
piuttosto
fiamma accesa in me,
che ho deciso di vivere
entro i tuoi confini
per farmi straniero a tutto il mondo.

Di te
altro non so che questo:
ciò che non sei agli altri
ciò che sei a me.

E di te
Altro non desidero:
vivere sempre
sul tuo seno profumato,
respirare i tuoi capelli,
camminare con le mie labbra sulle tue labbra,
morire in te e con te
per
rinascere
all’alba del giorno
che è tuo, che è mio.

Non più stanza per due cuori,
o giardino dalle strette pareti,
ma nostro mondo e
nostra espansione.

martedì 3 marzo 2009

Canto del viandante visionario

"Ti prego, passeggiamo un poco"

L'aria è pungente
nel soleggiato giorno.
Febbraio è morto da poco
e Marzo, diletto figlio, ne raccoglie
le fredde spoglie.

Camminiamo dunque.

"Ti prego, dammi la mano per un attimo solo,
devo stringerla mentre
provo a dirti chi sono."

Sorrido e mentre dico queste parole,
per me audaci,
distolgo lo sguardo da te.

Toc, toc.
Rumore sordo.
I tacchi delle tue scarpe
rincorrono freneticamente il mio passo
veloce.

Parlo e, ancora,
parlo.

Ti affido frasi d'esiliato,
verbi apolidi.

Le parole che ora pronuncio
sono canti di gitano,
che, pur sempre, sente vivo,
il desiderio di fermarsi in un luogo,
foss' anche
il cielo sotto cui cammina,
o l'arida terra che i suoi piedi calpestano.

"Affido a te la matassa dei miei giorni."

Giro il mio volto per incontrare il tuo viso.

E' silenzio.

Tu,
non sei.

Le voci,
non sono.

Mano che non ho stretto.

Mi guardo intorno.
Cielo cupo
squarciato dalle ultime fiamme del giorno.
Orizzonte impassibile
in cui cerco il conforto
di antichi aneliti di infinito.

Cammino solo.

E con i piedi, nuovamente,
immagino di percorrere la linea lontana,
come un bambino che gioca all'equilibrista,
in bilico ,
tra un infinito e un altro.

mercoledì 21 gennaio 2009

Ricordo e Ritratto di un pomeriggio

Per un amico - S.U.

Ricordo e Ritratto di un pomeriggio

Ci conosciamo camminando.

I nostri passi accolti da luoghi familiari
(impronte scricchiolanti sulla sabbia invernale).
Ma come essi,
che sotto i mutevoli cieli - ora tersi ora grigi -
ci lasciano certezza di memoria
e fresche corrispondenze,
così noi,
che siamo gli stessi sempre,
arricchiamo la presenza
con comunione di verbo:
custode dei misteri delle nostre anime,
sacerdote di sogni,
aedo di vite.

Una nave, con sordo rumore,
solca le acque placide,
mentre le barche ormeggiate oscillano
al suono delle arpe eoliche.

I passi ritmati su assi secche di legno.

Ci conosciamo camminando.

giovedì 8 gennaio 2009

To D. (my nephew) - in the day of his first birthday

Ti guardo
mentre tu mi guardi:
occhi aperti e attenti
e una smorfia sul tuo volto
che ben presto diventa
largo sorriso.

Ti guardo:
contento dei tuoi versi
di piccola creatura,
stupito.

Sei l'incarnazione di un amore
di cui non sono capace,
un mistero che non riesco
a comprendere:
invidiato in chi lo possiede
senza curarsi della questioni metafisiche,
odiato in me
poichè la sua felicità
fu solo preludio a un lungo dolore.

Ti guardo ancora
mentre scruti attentamente
chi ti circonda:
ogni oggetto e
ogni movimento è
ai tuoi occhi
scoperta e incanto.

Sporge da una sedia
un legaccio di un cuscino,
piccolo nastro di raso grigio:
diviene per te
un nuovo gioco
che vivi intensamente
comunicando la tua gioia
con brevi risate e alcuni
allegri scatti del corpo.

Tutti sorridono.

Io sorrido
e
fissando ancora i tuoi movimenti,
prego:

meraviglia e gioia
siano il tuo passo destro
e il tuo passo sinistro,
speranza il tuo sguardo,
amore il sangue che ostinato scorre nel tuo corpo,
misericordia le tue mani,
grazia la tua bocca;

come vento audace
possa tu erodere la monotonia
del mondo a cui da poco sei nato,
modellando forme nelle dune,
passando tra i rami fermi,
donando sollievo nel giorno afoso.