mercoledì 24 settembre 2008

Dio veste mocassini - riflessioni mattutine durante una passeggiata

Un altro momento di epifania.
L'ho avuto proprio stamattina mentre camminavo per le vie della città, tra i banchi colorati del mercato e la folla di persone che guardava con interesse alle merci esposte: vestiti, pantaloni, cappotti, quadri, stoffe, tende.
Ho camminato per parecchio tempo, con i polmoni pieni non solo d'aria ma, per quanto strano possa essere, pieni pure di gratitudine (penso che questo sia il modo migliore per spiegare il piacevole solletico che accompagnava l'atto fisico di inspirare ed espirare).
Immerso in pensieri, ad un tratto si sono combinati nella mia testa due ricordi provenienti da due domini temporali differenti.
Il primo ricordo è sicuramente più anziano: aveva a che fare con una vecchio proverbio indiano (indiano d'america per intenderci) che avevo letto per caso su una pietra circa un anno fa, in uno di quei negozi in cui solitamente entri soltanto perchè qualche amica o parente (in questo caso mia sorella e una sua amica) decide di entrare a curiosare attratta dalle miriadi di ciappini e profumi. Esso dice più o meno così: "Prima di giudicare una qualsiasi persona cammina nei suoi mocassini almeno per tre lune".
Il secondo ricordo è freschissimo. Devo dire che più che un ricordo è un vero e proprio ritornello. Sto lavorando infatti sulla lettera agli Ebrei: sulla sua teologia, sulla sua forma, sulla sua storia, sulla sua lingua e soprattutto sul suo testo. Lo scritto è piuttosto un sermone (e non una epistola). Un sermone scritto da un pastore ai suoi amici i quali non se la stavano passando per niente bene (probabilmente una seconda persecuzione violenta dopo quella già subita sotto l'imperatore Claudio). Comunque non è del materiale introduttivo al testo che voglio parlare.
Voglio intonare piuttosto un'altra volta quel ritornello che "fischietto" sovente in questi giorni.
In uno dei capitoli che aprono il testo si trovano scritte le seguenti parole: "Poichè dunque i figli hanno in comune sangue e carne, Egli pure vi ha similmente partecipato [..]Perciò Egli doveva diventare simile ai suoi fratelli in ogni cosa (grassetti miei)." (Ebrei 2:14, 17).

Camminando, cose a volte separate nella testa, si mischiano insieme e si fondono per dare origine a una visione nuova e fresca della realtà.

Camminare nei mocassini di un'altra persona significa immedesimarsi, senza recitare, in quello che l'altra persona sta passando o affrontando; significa andare oltre alle apparenze e comprendere invece quali sono le sue motivazioni; significa avere com-passione, cioè, nel senso vero e originale del termine, provare lo stesso pathos (sofferenze, gioie, ansie, paure, speranze, aspettative, gioie, ecc..). Camminare nei mocassini di una persona per almeno tre lune crea legami, dialogo, misericordia, senso di appartenenza alla comunità degli uomini e delle donne, allontana dall'individualismo e da forme di giudizio sterili, superficiali, scontate e fin troppo semplici da pronunciare. Camminare nei mocassini di una persona significa cambiare il punto di vista e significa guardarsi intorno con occhi per la prima volta rivolti al prossimo e non a me stesso (formidabile la metafora che i riformatori usavano dicendo che l'uomo "naturale" è "incurvato su sè stesso). Camminare nei mocassini di un altro vuol dire comprendere. Camminare nei mocassini di una persona significa tendere una mano, aiutare.

Se questo è già qualcosa di nuovo per persone che vivono in una società ego-centrica come la nostra, ancora più sorprendente è quello che il sermone noto come epistola agli Ebrei ci dice.

Gesù Cristo incarnandosi ha calzato i nostri mocassini.

Mi piace questa immagine. Si aggiunge a una serie di eventi biblici che hanno simile potenza immaginifica.

Dio si rotola e si azzuffa nel fango con Giacobbe; dialoga con Abraamo e Mosè come se fossero amici di vecchia data (per intenderci quelli che hanno giocato a nascondino nella stessa via durante l'infanzia, che sono stati compagni di banco per una vita e che ora guardano insieme la partita alla Tv); danza a tutta forza per un popolo, quello di Israele, che scopriamo essere fra le Sue gioie più grandi; si fregia dei Suoi amici e amiche che hanno percorso i sentieri di questo mondo al Suo fianco (vedi Ebrei 11 e in particolare il versetto 16)
e infine si scopre, come se non bastasse, che Egli ha calzato i nostri mocassini.

Eugene Peterson nel suo meraviglioso lavoro di traduzione della Bibbia (The Message) rende in questo modo significativo Ebrei 2:17: "
That's why he had to enter into every detail of human life".
Io, che non sono tecnicamente un traduttore, mi spingo oltre e parafraso lo stesso versetto nel modo seguente:

"Perciò Egli doveva calzare i mocassini dei Suoi fratelli e sorelle".

Sono forse ripetitivo. Ma del resto quando si guarda a una immagine, non si esaurisce al primo colpo d'occhio quello che l'immagine stessa vuole comunicare. La potenza comunicativa insita nelle figure consiste, tra le altre cose, nella loro abilità di imprimersi sull'anima in maniera incisiva e profonda, permettendo poi una meditazione e riflessione continua, che si allarga in cerchi concentrici a partire dal nucleo semantico (cioè a partire dal concetto che si vuole trasmettere).

Mi piace davvero questa immagine.

Che sia seduto o in piedi, pronto a camminare, che stia dormendo o stia mangiando, che stia leggendo o guardando un panorama, che stia ridendo o stia piangendo, Gesù Cristo sa cosa provo perchè anche Lui ha camminato nelle mie scarpe.

Non solo. Nel camminare nelle mie scarpe Egli ha vissuto una qualità di vita diversa: bella, abbondante, pura, misericordiosa, fresca, buona, santa, piena di compassione, di bene verso gli altri, amorevole, di servizio, giusta, amabile. In poche parole, la vita così come originariamente Dio l'aveva intesa, prima che noi uomini ci mettessimo il proverbiale "zampino" cercando di vivere una vita al di fuori di un rapporto personale con Dio.

Guardando ai miei piedi realizzo che sono compreso e capito in maniera ancor più profonda di quanto io creda. Cristo ha messo i miei mocassini e ha simpatizzato (sym-pathos, vedi Ebrei 4:15)

Ho la possibilità di una vita diversa anche io, piena di quelle qualità di cui si parlava poco prima. Cristo ha messo i miei mocassini e nei miei mocassini ha vissuto "senza commettere peccato"(cfr. ancora Ebrei 4:15), cioè vincendo quel principio che agisce in noi e che ci "incurva su noi stessi"tenendoci lontani da Dio e separandoci dagli altri esseri umani.

Quando guardo ai miei piedi, so di non essere abbandonato a me stesso in questo cammino esaltante e arduo chiamato vita: il Dio che è talmente grande da far sembrare la Terra lo sgabello dei Suoi piedi, si è chinato e ha, in modo affascinante e per certi versi sfuggente alla compresione, camminato nelle mie scarpe e segnato con i Suoi passi una nuova via.

Egli è conosciuto come Emmanuele, che tradotto significa Dio con noi,

ovvero

il Dio che veste mocassini.

Guardando ai Suoi piedi, si può capire molto del Suo cuore: Egli ci ama e desidera stare con noi.