mercoledì 27 agosto 2008

E-mail, fantasmi del passato, la famiglia, un amico e l'amore di Dio

Davide l'Antropologo non è il nome di un personaggio da me inventato (così' come sono solito fare nel mio cogitare notturno circa i possibili protagonisti del romanzo che prima o poi scriverò), ma grazie a Dio (nel pieno senso di questa espressione) è una persona esistente che posso vantare di chiamare amico e fratello (anche in questo caso nel pieno senso dei termini).

Io sto attraversando, lo ammetto, un periodo alquanto strano: ci sono "fantasmi del passato" che ancora mi perseguitano e io, fin da bambino, ho sempre avuto una paura matta degli ectoplasmi, sia quelli di livello proletario (la classica coperta bianca con due buchi per gli occhi e l'esclamazione "uhhh, uhhhhhh") sia quelli di livello 4 (per intenderci le entità che fanno la loro comparsa nel grandissimo american movie dell'84 "Ghostbusters"). Purtroppo non ho a disposizione accelleratori protonici per irradiare queste noiose ombre danzerine; tra le altre cose ho scoperto recentemente, dopo lunghi e talvolta estenuanti tentativi, che i fantasmi con cui ho a che fare resistono a diverse forme di armi che la pratica popolare aveva decretato veri e propri toccasana e antidoti: uscire tutte le sere per una birretta in compagnia o per strafogarsi di gelato, gettarsi anima e corpo in qualche attività "placebica" (leggere come un matto, passeggiare freneticamente per chilometri, cercare di prendere le cose superficialmente indossando maschere e facendo "quello che se ne frega", ecc..), riversare la rabbia su chi sta intorno, isolarsi in una specie di titanico disdegno verso il mondo, comprare compulsivamente oggetti (nel mio caso libri o dischi) che per qualche istante diano la felicità dell'acquisto e del possedere qualcosa di desiderato, ecc. Dunque questi rimedi "naturali" sono falliti.
E così ecco che questo senso di rabbia e impotenza, questa voglia di usare la lingua come una spada tagliente per rendere le ferite ricevute, questa volontà di deridere chi mi ha fatto star male, questa invidia (perchè sembra davvero che poi, chi fa star male, sia capace di "rifarsi una vita"), questo desiderio di "soddisfazione" nel senso cavalleresco del termine (ovvero vendetta), questo egoismo strutturale che mi fa pensare che i miei problemi, il mio soffrire, la mia incapacità di fidarmi di nuovo, il mio modo distorto di vedere me stesso e gli altri, siano il centro del mondo (la cosidetta teoria "jonathancentrica") ecco, dicevo, che tutto ciò (e questa potrebbe essere la punta dell'ice-berg) infesta la mia cameretta più segreta, dove alle pareti ci sono scaffali non pieni di libri ma di ricordi, affetti, visi, sentimenti e desideri.

Davide l'Antropologo, non so come, l'altro giorno deve aver intuito qualcosa (non lo dubitavo; è un lettore acutissimo e tra le righe di questo blog-flusso-di-coscienza deve aver compreso il "tra le righe" che le parole non esprimevano esplicitamente ma suggerivano con gli spazi bianchi e le frasi non scritte); così mi ha scritto una e-mail dove mi chiedeva come me la passavo.

Ho risposto.
Ovviamente a mio modo: quindi l'ho sommerso con righe e righe di pensieri, riflessioni e confessioni.

Anche Davide l'Antropologo ha risposto.
L'e-mail l'ho stampata e l'ho incorniciata (forse incorniciata no, ma è nella mia Bibbia inglese da buon vecchio reverendo - forse adesso mi dò questo titolo per scherzo ma avverto tutti i lettori che il mio sogno segreto è di diventare un giorno un "reverendo"a tutti gli effetti). La lettera elettronica conteneva in particolare una frase che si va ad aggiungere a una serie di altre frasi che, uno alla volta, i componenti della mia famiglia mi hanno rivolto, vedendo per l'appunto la mia cameretta ancora infestata dagli ectoplasmi di cui parlavo prima.
La riporto.

TUTTA LA VITA è questo..portare a Dio cose storte, e lui riesce a farci cose buone

Epifania!
Ho avuto momenti epici dopo aver letto queste parole. Mi sono tornate in mente un sacco di cose, tra cui la traduzione di un Salmo fatta da Eugene Peterson (nel suo meraviglioso lavoro in The Message) che dice qualcosa di simile. Non la ricordo alla lettera ma il senso era " Tu vedi, o Dio, i pezzi sparsi della mia vita; ma Tu mi ricomponi" (non mi darò pace finchè non ritrovo il taccuino o il foglio o la tavoletta di creta su cui l'avevo segnata). Non solo. Mi è venuto in mente anche quanto ho letto proprio ieri su un libro di Donald Miller (Blue Like Jazz - non religious thoughts on Christian Spirituality) e Davide L'Antropologo mi ha offerto la miglior traduzione in italiano che ci potesse essere; Don Miller dice infatti che la più grande potenzialità insita nel Cristianesimo è da trovarsi nella parola "repentance" - "the power of Christian spiritualty has always rested in repentance". Davide mi ha detto la stessa cosa con termini diversi. Leggere queste parole in un libro già fa effetto (io sono rimasto di stucco); sentirsele dire da una persona interessata alla tua vita è una esperienza ancor più vivida.

Mi spiego meglio circa la "repentance".

Quando mi rendo conto, come io mi sto rendendo conto attraverso le parole che sia la mia famiglia sia i miei amici mi rivolgono, del fatto che qualcosa non sta funzionando nel modo giusto e c'è da qualche parte un vaso rotto, l'unica cosa che posso fare per cambiare la situazione, è portare direttamente tutti questi pezzi a Dio confessando appunto la situazione in cui mi trovo: Lui ama ricomporre le vite sparpagliate in vasi interi. E non si stanca nemmeno quando, spesse volte, come accade nella quotidianità, il nostro vaso si rompe più e più volte.
Quello che ho imparato dalle parole di Davide è di lasciarmi amare, di perdonare, di sperimentare la riconciliazione con il genere umano e con me stesso; quello che ho ricevuto dalle sue parole è una lezione importante: vivere davanti a Dio non come un estraneo in casa, ma come un figlio, vicino al cuore del Papà.

Ecco quello che ho scritto nel mio taccuino in questi giorni (prima della sua e-mail e dopo la sua e-mail - e non penso sia ancora una versione definitiva di questi pensieri, diciamo che è solo un incipit):

"Ampliare il concetto di accettazione nell'amore. Tu pensi, erratamente, che per essere amato devi prima di tutto offrire e mostrare, far vedere chi sei; in definitiva far sfoggio delle piume come un peacock. Così sei condotto a non essere te stesso; fingi pretending to be waht you are not. Ricordi la frase di Hawthorne nella Lettera Scarlatta? Se fingi di essere una cosa con gli altri e sei te stesso solo quando sei solo, nella tua intimità, prima o poi corri il serio rischio di non sapere più distinguere tra il tuo viso e la maschera che indossi.
Devi imparare a fidarti nuovamente, a lasciare questi schemi mentali che prendono il loro spunto più dal commercio che dal relazionarsi correttamente e devi, soprattutto, imparare ad accettarti, accettare ed essere accettato. Stamattina hai avuto un ulteriore glimpse di ciò. Sei accettato così come sei. Dio non ti ama per quello che gli puoi offrire, per ciò che puoi produrre, non ti ama per i doni che hai o per le tue abilità, nè per i tuoi capelli, le tue orecchie, le tue mani e i tuoi piedi; Dio ti ama prima di tutto perchè sei, esisti, proprio così come Lui stesso ti ha fatto. Sei voluto da Lui, sei cercato, sei un figlio per Lui e per un padre il figlio è l'amato. Egli ama le tue particolarità; quelli che tu chiami in alcuni momenti pregi e in altri momenti difetti (le cose che lei non accettava o che gli altri non accettano o capiscono di te). Sei amato in quanto Jonathan, non in quanto Jonathan "il sognatore", Jonathan "lo scrittore", Jonathan "l'entusiasta", Jonathan "quello che mi fa comodo perchè è disponibile", Jonathan "la peste", Jonathan "il biondo" o Jonathan "quello che gli altri dicono lui sia", cioè tutti i soprannomi e i modi di vederti che gli altri hanno di te, caricati dalle loro aspettative. Sei amato dunque così come sei. Sei amato trinitariamente da Padre, Figlio e Spirito Santo; sei voluto , desiderato, accettato e invitato a prendere parte alla comunione intra-trinitaria. Ciò dovrebbe anche spingerti a rivedere il tuo modo di rapportarti alla gente e a chi ti sta intorno. Basta con metafore commerciali e con il tuo essere cavaliere solitario solo per vendicarti del fatto di non sentire completa accettazione da parte degli altri. Basta vivere con i confronti a cui lei ti aveva iniziato e di cui sei ancora vittima. Basta anche con il vittimismo, perchè quello che è stato è passato; ora hai davanti nuove prospettive, puoi rialzarti, puoi ricomporre il puzzle. Non tutte le persone sono uguali, non tutte ti vedono per quello che puoi dare; c'è chi ti ama per come sei e soffre a vederti in questo stato ferino (sembri per davvero un lupo ferito). Sii te stesso. Vivi nella dimensione dell'amore incondizionato. Accettati, accetta gli altri e lasciati accettare. Accetta il Primo Amore e lascia che la Sua dimensione rivoluzioni il tuo universo: non più jonathancentrico, ma Trinitocentrico o Cristocentrico. Solo così sarai in grado di vivere non incurvato su te stesso ma proteso verso il prossimo, colui che ti sta vicino, che ha bisogno di amore o desidera amarti."

Davide l'Antropologo è un fratello e un amico. Si scherza e si ride; si beve una birra da qualche parte per l'Italia (l'ultima a Nocera Umbra) e si parla di lavoro con la casa editrice e di come riuscire a portare ad altri questo messaggio di amore incondizionato da parte di Dio, messaggio che un giorno, per strade personalissime, ha toccato le nostre vite. Davide l'Antropologo però mi ha ricordato non solo questi momenti aurei che fanno parte dei ricordi che uno si tiene stretti, ma anche come questo messaggio deve essere il centro di gravità attorno al quale i nostri pianeti ruotano armonicamente e come questa rivoluzione "copernicana" possa influenzare le nostre vite trasformandole da pozzi a sorgenti.

Grazie. Forse un termine troppo semplice e "secco", ma detto in modo profondo e sincero. Sì, grazie.

E tutto quello che ho scritto dimostra come isolandomi rischio di perdere la benedizione che proviene non dal vivere in società (secondo le regole della mutua sopportazione imposte dalla legge o da una qualche forma di regolamento della serie "vivi e lascia vivere") ma dal vivere in comunità (dove la parola d'ordine è koinonia) quella stessa comunità dove vi sono caratteri diversi ma un medesimo modo di sentire, dove vi è idiosincrasia ma al contempo mutua compenetrazione d'animo, dove vi è personalità ma non individualismo, dove vi è particolarità vissuta nella reciprocità, dove c'è l'io e il tu (in mutua relazione), dove c'è amore che dona e accetta sapendo che, come sono solito ripetere citando John Donne, nessuno è nato per essere un'isola.

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